Recensioni - Laura Lattanzi - "alchimia cromatica"

Vai ai contenuti

Recensioni

Recensione effettuata in occasione della mostra "WORLD WIDE ART SHOW 2017" New York

L’esito più naturale e coerente della personalità pittorica di Laura Lattanzi scaturisce dalla sua ferma convinzione che l’Arte debba essere veicolo di verità, un’energia positiva che sia condizionatrice e non condizionata. La robustezza pittorica non ammette indugi né perplessità, il suo è un procedere meditato e calibrato con soluzioni cromatiche ricche di suggestive inflessioni, le sue figure sono assorte in un loro mondo.
Astratto e figurativo si saldano in un unico contesto, procedono con lo stesso ritmo compositivo divenendo sintesi perfetta di un’indagine psicologica.
Nel dipinto “La coppia”, grazie a intuizioni sensibili e armonia poetica, si sintetizzano le segrete analogie, le coerenze interiori e profonde di un rapporto d’amore, due identità entrambe racchiuse nell’incessante movimento della vita, nella idealità essenziale ed eterea dell’appartenersi.
Due corpi governati da necessità naturali e da leggi vitali ed imprescindibili.
Una estetica pulita e un’eleganza formale racchiusa in un energico tratto calligrafico dalle campiture nette e uniformi.
Nel dipinto “El duende” è impercettibile il passaggio dal figurativo all’astratto, la figura femminile emerge da vibranti sfumature coloristiche quasi a sfuggire dalle insidie della vita terrena. Cromie e segno diventano grido, dolore, speranza, assurgendo a una totale coralità tonale dove tutti i sensi partecipano alla sorprendente dinamicità della ballerina, metafora dell’armonia del mondo.
Laura Lattanzi nella sua pittura pone al centro l’uomo con le sue più intime emozioni, aspirazioni, esplorazioni nei territori dell’utopia protesa verso un mondo solidale fatto di giustizia e di libertà.

(Maria De Michele)

Napoli, 11 ottobre 2017
"La coppia" - olio su tela - (2010)
"El duende" - olio su tela - (2015)
Recensione della Personale “Sentieri nel colore”, tenutasi a Civitanova Palazzo Comunale -  2013.

Laura Lattanzi è una giovane donna, che ho imparato a conoscere nell'ultimo anno.
E' molte cose diverse, anche se l'apparenza è quella correlata ad una dolce originalità.
Ama le discipline orientali, la musica classica, la danza, la pittura.
Quello della pittura è un percorso che ha affrontato da sola, con umiltà, ma anche con passione e coraggio, con la determinazione che mette in tutto ciò con cui si cimenta.
Da questa disciplina è scaturita una produzione di quadri, una selezione dei quali vediamo esposti in questo fine settimana nella sala Foresi, che l'amministrazione civitanovese mette a disposizione dei giovani artisti.
Sono stata a visitarla ieri e voglio condividere le mie impressioni, perché a questo serva l'arte: a suscitare emozioni.
La prima cosa che colpisce è la luce che emana da alcune tele: l'arancio vigoroso del sole sull'acqua, il brillio intenso della luna notturna sul mare, ma anche la luce ghiacciata dei quieti paesaggi invernali.
Poi, ho notato il segno, le silhouettes monocromatiche, intense e pure, che hanno nell'essenzialità la loro forza, il loro carisma primitivo.
Ed ecco un filo di congiunzione tra tutte le opere esposte, che si coglie dopo averle guardate nel loro insieme: la semplicità.
Laura veste la sua arte con un vestito antichissimo, quella del segno intensamente poetico.
C'è in Laura Lattanzi una trascrizione della realtà, che è sublimazione emotiva dei suoi stati d'animo che divengono anche di chi guarda: documenti intimi che ci lascia vedere e condividere.
Quando ero molto giovane mi innamorai di questo tipo di espressione artistica proprio per la sua dimensione "bambina” e "onirica" che si distingue dall'arte contemporanea che ha un assunto più spesso discorsivo.
Guardando una piccola tela piena di verde e rosso, mi sono ritrovata in un frutteto, dove, da bambina, andavo con il mio migliore amico: per un breve istante sono stata di nuovo lì, con il profumo delle mele mature ad avvolgermi. Ecco, questo fa l'arte: può riportarti indietro, regalarti un pezzo di ciò che è dentro un altro essere umano, e mille altre cose.
In questi giorni così magici del solstizio d'estate, è un momento di tempo per questa piccola mostra di luce e di sogno.


(Cristiana Cecchetti - ex gallerista)

Recensione della Personale “Oltre la parole”, tenutasi a Corridonia nell’ottobre 2011.

Nella personale “Oltre le parole”, risalta, e non poteva essere altrimenti, un mondo femminile vissuto ed osservato che dichiara le fondamenta rappresentative ed interpretative dell’autrice su due realtà non sempre in armonia tra loro e anzi spesso contrastanti che a mio modo di vedere sono la società (esemplata nel nucleo essenziale del rapporto amoroso, filiale e familiare) e la natura.
Nel piccolo campione osservato, infatti, le due direttrici rappresentative e contrastanti sono la figura umana e il paesaggio, ognuno trattato con mezzi e strumenti diversissimi l’uno rispetto all’altro: il primo esemplato dalla silhouette grafica su sfondo tonalmente compatto e geometrizzante, il secondo mediante ricorso alla prospettiva che dona elemento narrativo ai dettagliati scorci.
In entrambi i casi lo scenario, o lo sfondo, tende ad essere omogeneo e suggerisce la sospensione in cui l’autore attende il futuro e lo racconta all’avventore partecipe, frontalmente, di tale fissità epocale.
Lievi sfumature dello sfondo nei paesaggi, che dovrebbero rappresentare l’apertura al mondo di chi guarda, cioè l’elemento dialogico con la realtà, evidenziano una lieve ed elegante volontà di ricerca dell’oltre, del punto ulteriore alla tela e dunque del futuro più lontano, atteso con malcelata ma sotterranea attesa di cambiamento.
Questo senso è dato dalle prospettive e dai triangoli.
Il triangolo è una prospettiva multidimensionale perché c’è l’angolo più acuto in cui vanno a concentrarsi le cose non dette, le speranze degli uomini e delle donne, il posto in cui noi tutti inseriamo i rimorsi e le rimozioni, i rimpianti insieme alle ansie del futuro, ciò che ci aspettiamo, quel che vogliamo liberare e da cui vogliamo essere liberati.
Gli angoli acuti sembrano coperti per la maggior parte dalle figure, coperti cioè dal dato immediato della coscienza, dalla realtà e dalle sicurezze.
Il punto di fuga della prospettiva, dal Rinascimento in poi, ha sempre svolto la funzione di accentrare l’attenzione narrativa dell’osservatore e quando questo è remoto, come nel caso dell’autrice, coperto dalla foschia invernale e nevosa o dal buio del mare mosso, coincide con i triangoli di cui si parlava prima.
Il mare stesso è il simbolo del cambiamento continuo e ritmato, un rivolgimento regolare solo apparentemente naturale ma che in realtà rappresenta il ritmo vitale ...
La dominanza tonale si incammina verso il freddo o al limite ai colori primari, segno che l’espressività rimane adombrata ad una ricerca di assoluto puro che lascia intravedere alcuni interessanti richiami alle sperimentazioni novecentesche che ritornano da una memoria iconografica profonda: è il caso … della donna distesa, su fondo marino notturno e sfumato - secondo me l’opera più interessante del lotto - in cui si mescolano le muse classicheggianti del De Chirico metafisico, le oniriche costruzioni del Dalì più surrealista ed i segni cabalistici di Paul Klee.
Altro personaggio rilevante in questa cronistoria pittorica è la luna che domina la maggior parte dei paesaggi; il notturno è forse l’ambiente prediletto e la regolarità, la pienezza del satellite terrestre, pur non concedendo nulla all’illuminazione interna del colore, indica l’ansia di infinito tanto quanto le prospettive storiche a cui prima si faceva riferimento; anzi la luce scaturisce da piccoli particolari interni, in special modo dalle schiume delle onde marine.
Passando alle silhouettes e ai richiami al mondo sociale, i colori bianco, nero e rosso risultano funzionali al contrasto tra oggetto e sfondo e inseriscono nella moderna grafica, di stile vagamente fumettistico indicato dai capelli della bambina e delle donne, un elemento passionale sostanzialmente secondario nella poetica dell’autrice.

(Giampaolo Vincenzi, critico letterario)
L’artista stessa (ognuno è il miglior critico di se stesso) distingue le sue opere in due filoni, quasi due correnti di emozioni, di interpretazione del mondo della natura, del proprio mondo interiore, del modo di concepire il bello e di rendere partecipe agli altri la propria scoperta.
Ella stessa, infatti, suddivide i suoi lavori secondo due stili (naturalistico e non naturalistico) ma non lasciamoci ingannare e fuorviare da questa delicata malizia dell’artista che sembra riportarci a formali schematismi di manuali o cataloghi d’arte.
La ricerca di Laura, oltre che artistica, è ricerca di armonia con ciò che contempla, con tutto quello che riesce a comunicarle, a “corrisponderle” le vibrazioni che la stupiscono, affascinano, suggestionano e che, soprattutto, possano metterla in contatto con il senso nascosto del percepito e renderla “docile fibra dell’universo”.
Bisogna, dapprima, volgere uno sguardo all’insieme delle sue opere per cogliere in modo intuitivo, analogico, quel quid che le accomuna e poi soffermarsi a meglio considerare le singole tele per scoprirne i particolari che possano contribuire a entrare in sintonia con l’autrice.
Al primo sguardo si rimane colpiti proprio dalle “correspondences” che la contemplazione degli aspetti della natura o della figura umana suggeriscono a Laura. La sua prima ispirazione sembra sempre partire da soggetti reali che ben presto vengono trasfigurati, trasfusi in “altro” raggiunto andando “oltre” il percettibile sensorialmente.
I paesaggi, sempre rappresentati con pregevole tecnica espressiva e sapiente utilizzo della prospettiva, appaiono a volte lievemente e dolcemente sfumati, quasi rivisti in un’aura di sogno, di ricordo, di avventura intimamente vissuta nella contemplazione del bello offertosi in maniera statica (“Flumen”, “Inverno sul lago”, “Palude”, “Tramonto su landa nordica”, Scorcio d’inverno”) a volte decisamente definiti con dense pennellate di vivo colore. In questi ultimi (“Bosco in autunno”, “Emozione verde” - “Mattino di primavera”) viene quasi operata  una compenetrazione nel mondo della natura, un’intima fusione con i suoi aspetti più vitalistici. Emblematico il trionfo del verde in quella simbolica galleria di alberi del già citato bosco o l’acceso, “glorioso” cromatismo dei “Colori dell’autunno” vivacissimi sullo sfondo azzurro. Interessante poi, sia per la perizia tecnica nel tratto che per la sperimentazione cromatica e tematica, appare un gruppo di opere che Laura colloca  nel primo stile. Tali opere, però, a noi sembrano trascendere il momento puramente “naturalistico” per adire ad un mondo della natura sublimato, onirico, colorato di magica avvenenza, trasferito, per alcune tele, quasi in una contemplazione astrale, di fantascienza. Così è per le opere ove sono evidenti le ricerche di effetti cromatici realizzati grazie ad una vasta gamma di colori vivaci “Albero”, “Marina all’alba”, “Mare Arcobaleno”, “Uscio estivo”) e soprattutto nelle “visioni” di panorami marini e collinari, scogliere, notturni (particolarmente di forte impatto emotivo “Yellow sea” e “Scarlet heights”) che hanno il potere di rapire lo spettatore e metterlo a contatto con una natura a volte dolcemente rasserenante (“Riviere” - “Sabbia e sole”) a volte più mossa ed inquieta, proiezione simbolica della perenna instabilità dell’animo umano, del senso dell’infinto che attrae e  smemora e della ricerca dell’assoluto. E’ così per “Scogliera”, “Tramonto sul mare” e “Plenilunio” in cui la bellezza del paesaggio rappresentato appare anche punto di partenza per un percorso di scoperta introspettiva.
Per quanto concerne le opere afferenti a quello che Laura Lattanzi definisce “stile non naturalistico” la prima e fondamentale impressione che ogni spettatore coglie è che la figura femminile è al centro dell’attenzione dell’artista sia quando è proiezione autobiografica, contemplazione intenerita e commossa dei sentimenti più intimamente femminili (“Abbraccio”, “Amore Materno”) vagheggiamento estatico del “bello” rappresentato dalla donna, sia quando è rappresentata nel rapporto familiare o di coppia.
Ecco allora snelle figure di donne leggiadre, dipinte con garbo e finezza di tratto o su sfondo monocromatico dai caldi colori o su sfondo variegato, screziato da iridescenze coloristiche (“Ruota dei veli”)  non fini a se stesse ma finalizzate a mettere in risalto la bellezza femminile, a sublimarla in un onirico trionfo di tonalità vivaci.
In alcune tele i tratti sono essenziali, dolcemente sfumati, i volti e le figure appena accennati, quasi suggeriti, essi assurgono a simbolo suggestivo e misterioso di quel complesso mondo sentimentale della donna in rapporto con la propria creatura (intenso e tenero il soggetto del già citato “Amore Materno”) o con l’”altro” (“La coppia” - “La Danza” - “La Famiglia”).
Interessante, a questo punto, ci pare  sottolineare come la costruzione della rappresentazione di quest’ultima opera sia allo stesso tempo tecnicamente pregevole ed indicativa del valore assoluto che l’artista attribuisce alla famiglia. Il soggetto, significativamente stilizzato, appare inserito, indicato, valorizzato dai triangoli colorati che focalizzano prospetticamente ed emotivamente l’attenzione di chi guarda sul soggetto.
Due opere propongono come soggetto donne afferenti al mondo orientale: “Geisha con flauto” - “L’Almea” - la prima è  rappresentata con dolci tonalità,  tratto elegante e definito su sfondo delicatamente sfumato nel suo trascolorare (evocante così l’iconografia giapponese) l’altra con turbinio di vivaci colori, atti, rappresentano la danza e tratti somatici più decisi, marcati a evidenziare, grazie anche alla fluente chioma ed il nudo ombelico, la carica sensuale che promana  dal soggetto.
Pregevoli per la tecnica e particolarmente suggestive appaiono lo stupendo notturno de “Il sogno” e “La rosa blu”. Il primo presenta una figura di donna dormiente, dal volto non definito ma dalla fluente chioma corvina, morbidamente adagiata ... sull’infinito: un fondo blu intenso (un mare calmissimo?) che dolcemente sfuma in un notturno ove si intravede una luna dal volto umano, come intento ad osservare la donna. Dipinto suggestivo, dalle valenze simboliche (c’è una sensualità sottesa ma evidente) enigmatico per la presenza di una luna “strana” aliena dalle rappresentazioni iconografiche tradizionali e quasi metamorfizzata in incubo. Il secondo lavoro è una creazione calligrafica, una ricerca del bello della natura (la rosa da sempre considerata simbolo di bellezza, eleganza, fragilità) sublimato, per mezzo del colore, in un fiore che in natura non esiste e che maggiormente attrae e suggestiona  anche per la collocazione in uno sfondo ai confini del mondo,  quasi astronave orbitante rappresentata fra terra e cielo.
Due opere, insomma, che confermano e arricchiscono quanto sopra osservato a proposito del fascino arcano dell’opera di Laura Lattanzi.

(Prof. Vito Antonio Laurino)
Torna ai contenuti